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Eraldo Affinati presenta Delfini, vessilli, cannonate alla rassegna Voci del Mediterraneo Attualità Italia e Mondo 

Eraldo Affinati presenta Delfini, vessilli, cannonate alla rassegna Voci del Mediterraneo

 

Saggista, scrittore e insegnante, Eraldo Affinati è uno degli scrittori più importanti del panorama contemporaneo italiano. Penna prolifica e poliedrica, nei suoi romanzi si dipana tra la sua vocazione pedagogica e quella letteraria portando le sue esperienze di vita nei suoi libri. Dal suo esordio come scrittore con Veglia alle armi. L’uomo di Tolstoj del 1992, non ha mai smesso di raccontarsi e di trattare tematiche sociali importanti quali migrazione, scuola e insegnanti, l’Olocausto e, in parte, anche la religione (Il Vangelo degli angeli, 2021). Durante la sua carriera di scrittore, ha vinto numerosi premi (tra cui il Premio “Campiello” per Campo del sangue, 1997) ed è stato tra i finalisti del Premio “Strega” sia nel 1997 (con Campo nel sangue) sia nel 2016 (con L’uomo del futuro. Sulle strade di Don Lorenzo Milani). Inoltre, è stato insignito del Premio “Franco Corbisiero” per i suoi alti meriti culturali nel 2023. In occasione della sua partecipazione il 19 gennaio 2024 alla rassegna letteraria Voci del Mediterraneo organizzata dal giornalista Antonio Corbisiero presso il liceo Tasso di Salerno, è stato possibile intervistarlo sul libro Delfini, vessilli, cannonate e sulle sue iniziative pedagogiche atte all’insegnamento dell’italiano ai migranti.

Lei è uno scrittore e giornalista. Può raccontarci com’è nata la sua passione per la scrittura?

«Sin da ragazzo ho sentito di avere un’inclinazione espressiva di stampo letterario, forse legata alle storie difficili dei miei genitori, entrambi fecero solo la quinta elementare. La scuola ha contato molto per me: non tanto come studente, quanto come insegnante. Il mio primo libro, pubblicato nel 1992, Veglia d’armi, non a caso era dedicato a Lev Tostoj: il più grande scrittore/insegnante dell’epoca moderna».

Oltre alla produzione letteraria, lei si occupa anche di formazione e insegnamento. Cosa l’ha spinto a fondare la “Penny Wirton”? E quali sono i progetti futuri in merito?

«Ho fondato la scuola Penny Wirton nel 2008, insieme a mia moglie Anna Luce Lenzi, per insegnare gratuitamente l’italiano ai migranti. Prima eravamo in pratica soltanto io e lei. Adesso siamo migliaia di persone con oltre sessanta postazioni didattiche in ogni parte d’Italia. Come diceva don Milani: “il sapere serve solo per darlo. Se te lo tieni per te, rischia di ammuffirsi”. È questa la motivazione principale. Quando le associazioni già presenti sul territorio si rivolgono a noi, mantenendo la loro autonomia, siamo felici di accoglierle. C’è bisogno di accendere le luci sul nostro bellissimo Paese».

Cosa ha significato, per lei, vincere il Premio “Franco Corbisiero” per il suo grande impegno culturale?

«Mi piace il rapporto che lega Antonio, il figlio, a Franco Corbisiero, il padre scomparso, di cui con questo premio viene celebrata la memoria. Credo nei passaggi di testimone da una generazione all’altra. Da insegnante, al liceo di Tasso di Salerno mi sentirò a casa».

Delfini, vessilli, cannonate è il suo lavoro più recente. Perché ha scelto questo verso di Giorgos Seferis per intitolare la sua autobiografia?

«È un’immagine lirica che mi ha sempre affascinato: i delfini suscitano un’idea di libertà, il vessillo implica la fede in un ideale, le cannonate ci richiamano al male umano».

 

 

E cosa l’ha spinto a scrivere un’autobiografia?

«Questo libro è una sintesi della mia attività letteraria, una sorta di bilancio esistenziale. La struttura è composta da ventuno nuclei tematici. Ogni capitolo comprende un reportage iniziale, alcune schede dedicate a scrittori a me cari, una poesia finale. Ci sono due discorsi introduttivi di stampo personale e collettivo e una riflessione conclusiva sul senso della lettura oggi nell’epoca digitale. L’epilogo è una scia lirica ambientata all’Esquilino, il quartiere romano dove sono nato e cresciuto».

Lei si è interrogato, attraverso questo libro, sul senso dell’adolescenza. Ad oggi, come risponderebbe alla domanda cosa vuol dire essere adolescenti?

«Essere adolescenti è stare a cavallo sul cannone, come il Kim di Kipling. Chi non dimentica la solitudine atroce dei quindici anni, ogni volta che la rivede nel volto dei giovani di oggi, si sente chiamato in causa. Alla Penny Wirton ci sono tanti ragazzi di tutto il mondo con lingue e culture diverse: ma io scopro sempre in loro una radice comune, su quella mi concentro.»

Qual è, secondo lei, la rivoluzione a cui non dovremmo mai rinunciare?

«Quella del giovane Nazareno quando per la prima volta scende a piedi da Cafarnao sul lago di Tiberiade e incrocia lo sguardo dei primi pescatori: gli dice ‘seguitemi’. E loro chiedono: ‘ma cosa dobbiamo fare?’ Il figlio del falegname risponde: ‘venite e lo scoprirete’».

A chi ha indirizzato questo libro?

«A tutti coloro che, dopo aver consultato l’indice, decidono di leggerne anche soltanto una parte».

I suoi libri sono impregnati di letteratura. A quali autori o autrici si ispira e si è ispirato, in particolare, per il suo lavoro di scrittore e giornalista?

«Potrei citarne tanti. Ma in questo volume ho chiamato a raccolta le scrittrici a cui mi sento legato: Emily Jane Brontë, Carson Mc Callers, Antonella Anedda, Maria Luisa Alessi, Caterina da Siena, Marina Cvetaeva, Natalia Ginzburg, Hannah Arendt, Gitta Sereny, Anna Maria Ortese, Sophie Scholl, Margarete Buber-Neumann, Carlotta Cicci, Ruth Klüger, Gianna Manzini, Etty Hillesum, Anne Carson, Susan Sontag, Adele Corradi, Ingeborg Bachmann, Alice Munro».

Se ripensa a tutti i suoi lavori, a quale si sente più legato? Perché?

«Delfini, vessilli, cannonate: perché è l’ultimo».

Al momento, si sta dedicando a qualche altro progetto letterario da attendere in libreria?

«A maggio pubblicherò il mio nuovo libro».

 

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